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Sentenza Bundesgerichtshof Eutanasia (Sterbehilfe) – traduzione in italiano

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BUNDESGERICHTSHOF

     IM NAMEN DES VOLKES

      SENTENZA

2 StR 454/09

        del

25. giugno 2010

StGB §§ 212, 216, 13 [omicidio, omicidio del consenziente, reato omissivo improprio]

BGB §§ 1901a ss. [dichiarazioni (anticipate) di  trattamento]

1. L’eutanasia per mezzo dell’omissione, della limitazione o della cessazione di un trattamento medico (sospensione del trattamento) è da considerarsi legittima se emerge una reale o presunta volontà del paziente in tal senso e se si tratta di una malattia che, se non bloccata, porterebbe alla morte.

2. Una legittima interruzione del trattamento può essere compiuta anche attraverso un comportamento commissivo.

3. Altre mirate intromissioni nella vita degli individui, che non si trovino nel contesto di un’interruzione di un trattamento sanitario in corso, non sono legittimabili attraverso l’esercizio del consenso.

DECISIONE

1 A seguito del ricorso dell’imputato la sentenza del tribunale di Fulda del 30 aprile 2009 è cassata.

2. L’imputato è assolto.

3. Il ricorso della Procura contro la sentenza di cui sopra è respinto in quanto infondato.

4. Le spese del giudizio e quelle di parte sono a carico dello Stato.

5. In diritto

MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA

6. Il Tribunale [Landgericht] ha condannato l’imputato per tentato omicidio ad una pena detentiva di nove mesi. Ad essa è stata poi applicata la sospensione condizionale. L’imputato ha perciò proposto appello per l’annullamento della sentenza e per ottenere l’assoluzione. Da parte sua la Procura contesta i motivi d’appello e chiede la condanna dell’imputato. I motivi dell’imputato sono pienamente accolti, quelli della Procura, al contrario, sono infondati.

7. A.

8. Il Landgericht ha accertato quanto segue:

9. L’imputato è un avvocato specializzato in medicina legale e specialmente in medicina palliativa. Egli assiste dal 2006 entrambi i figli della sig.ra E. K., e cioè la già imputata sig.ra G. e suo fratello ora deceduto.

10. La sig.ra K. si trovava dall’ottobre 2002 in coma cosciente a seguito di un’emorragia cerebrale.  Da allora non era più in grado di parlare e, ricoverata presso la casa di riposo a B.H., era alimentata artificialmente tramite una sonda PEG attraverso un accesso nella zona endo-addominale. La sig.ra K., che dopo una frattura al braccio sinistro nel 2006 aveva dovuto subire un’amputazione, era alta, nel dicembre 2007, 1 metro e 59 cm, e pesava 40 kg. Non c’era da aspettarsi alcun tipo di miglioramento.

11. Poichè nell’anno 2002 il padre della sig.ra G. aveva già subito un’emorragia cerebrale (senza serie conseguenze mediche), questa aveva chiesto alla madre, nel settembre dello stesso anno, come si sarebbero dovuti comportare lei ed il fratello nel caso le fosse successo qualcosa. La sig.ra K rispose che, nel caso si fosse trovata in stato di incoscienza senza possibilità di uscirne, non avrebbe voluto essere sottoposta ad alcun trattamento di prolungamento della vita né in forma di alimentazione, né di respirazione artificiale, né avrebbe voluto essere collegata ad un qualsivoglia  “tubo”.

12. Inizialmente era stato nominato tutore della sig.ra K il marito, in seguito era stato previsto il supporto di un servizio di amministrazione di sostegno. La paziente era stata assistita mediante tale servizio fin dal momento della morte del marito, a partire dalla fine del 2005. La sig.ra G. comunicò al fiduciario d’ufficio il proprio desiderio e quello del fratello di vedere staccare il tubo dell’alimentazione. In relazione a ciò, la sig.ra G. riferisce che nel settembre 2002, a seguito della conversazione con la madre, quest’ultima, nonostante le insistenze della figlia, aveva stabilito di parlare della questione con il marito e di fissare per iscritto la propria volontà. In realtà tale dichiarazione non fu mai rilasciata per iscritto e il fiduciario d’ufficio si rifiutò di concedere l’interruzione della sonda dell’alimentazione in quanto la volontà della paziente non poteva dirsi nota.

13. Successivamente l’imputato, insieme alla sig.ra G e a suo fratello, si adoperava per trovare il modo di interrompere l’alimentazione artificiale. Dopo formale richiesta, i due figli venivano nominati nell’agosto 2007 tutori della madre. L’intento della tutrice era appoggiato dal medico curante, poiché non ravvisava motivi contrari all’interruzione dell’alimentazione artificiale, ma incontrava l’opposizione dell’Amministrazione e del personale della casa di cura. Dopo l’espressa indicazione scritta del medico in merito alla sospensione dell’alimentazione artificiale, a cui non era dato seguito da parte del personale, si arrivò infine ad un compromesso: per salvare le convinzioni morali dei coinvolti, il personale avrebbe dovuto solamente somministrare le cure palliative in senso stretto, mentre la sig.ra G e il sig. K avrebbero loro stessi provveduto alla rimozione della sonda, eseguendo le necessarie cure palliative e accompagnando la loro madre alla morte. Dopo un colloquio su tale questione la sig.ra G e il sig. K acconsentivano.

14. Di conseguenza, la sig.ra G, il 20 dicembre 2007, staccava la sonda dell’alimentazione ed iniziava a ridurre la somministrazione dei liquidi. Il giorno seguente, tuttavia, l’Amministrazione della casa di cura ordinava di riprendere l’alimentazione artificiale e affermava che nel caso in cui la sig.ra G e suo fratello non si fossero  conformati a tale ordine, sarebbe scattato per loro il divieto di ingresso nella struttura. A tale proposito, lo stesso giorno, l’imputato consigliava loro per telefono di scollegare immediatamente la sonda addominale, in quanto titolari di un diritto contro l’illegittimo proseguimento dell’alimentazione. La sig.ra G, dopo pochi minuti, seguiva il consiglio e tagliava il tubo con l’aiuto del fratello. Il personale di assistenza qualche minuto dopo veniva a conoscenza del fatto e l’Amministrazione della casa di cura chiamava la polizia, cosicché, dietro ingiunzione del giudice, la sig.ra K, contro la volontà dei suoi figli, veniva portata in ospedale dove le era applicata una nuova soda PEG e dove veniva ripristinata l’alimentazione artificiale. La sig.ra K ivi spirava il 5 gennaio 2008 di morte naturale a seguito della sua malattia.

15.B

16. Il tribunale ha giudicato l’azione dell’ imputato P. del 21 dicembre 2007 come un concorso in tentato omicidio [Totschlag] compiuto con la sig.ra G attraverso un comportamento attivo che non era giustificato [gerechtfertigt] né da una volontà espressa della sig.ra K, né dai principi del soccorso d’urgenza o del legittimo stato di bisogno. L’imputato non poteva invocare nemmeno la scriminante dello stato di emergenza, dato che, in quanto avvocato esperto di tali questioni, un errore sul proposito [Erlaubnisirrtum] del reato [cioè sul suo presupposto] sarebbe stato assai improbabile.

17. La coimputata, sig.ra G, è stata invece assolta dal tribunale, in quanto questo ha ritenuto essere incorsa in un inevitabile errore sul proposito a causa del consiglio legale e quindi avrebbe agito senza colpa.

18. C.

19 I. L’appello dell’imputato P.

20. Attraverso il suo appello l’imputato P. lamenta la violazione sostanziale della legge; in esso si chiede la cassazione della sentenza e la propria assoluzione. La supposizione del Tribunale secondo cui la condotta dell’imputato P. e il taglio della sonda da parte della già imputata sig.ra G – che, essendo seguito al  suo consiglio è, ai sensi del §. 25 comma 2 StGB, a lui imputabile – siano da considerarsi come tentato omicidio non legittimato né dal consenso né da altre giustificazioni, non regge al controllo giurisdizionale [in sede di appello].

21. Il tribunale non ha eseguito una accurata valutazione giuridica di tutto ciò che ha preceduto le azioni che sono alla base della condanna. Comunque il suo convincimento che l’intenzione degli operatori della casa di cura di riprendere l’alimentazione artificiale contro il volere dei tutori e del medico curante fosse un’illecita interferenza nel diritto di autodeterminazione degli interessati, era una corretta conclusione da parte del Tribunale e presupponeva che la precedente interruzione dell’alimentazione fosse lecita.

22. a) Con sentenza del 13 settembre 1994 (1.StR 357/94= BGHSt 40, 257, 261), la I Sezione penale della Corte Suprema federale (BGH) aveva già deciso sopra un caso di interruzione dell’alimentazione artificiale per un paziente in stato di incoscienza con un gravissimo e irreversibile trauma cerebrale, del quale si prendevano cura il figlio ed il medico curante. In tal caso, poiché il decorso naturale della malattia non avrebbe portato il paziente alla morte, come ha notato la I sezione penale, non poteva ravvisarsi alcun caso di “eutanasia passiva”, almeno secondo i criteri delle “Linee guida per l’eutanasia” allora in vigore dell’Ordine dei medici tedesco (Cfr. Deutsches Ärtzeblatt 1993 B-1891 ss.). Allo stesso tempo, il BGH riconosceva che “date le particolari circostanze di questo caso limite, eccezionalmente, non si può a priori escludere un’ammissione dell’eutanasia attraverso l’interruzione di un trattamento o di una terapia laddove sia presunto che il paziente possa essere d’accordo con l’interruzione. Peraltro, anche in questa situazione, è da prendersi in considerazione il diritto all’autodeterminazione del paziente, contro il volere del quale non può essere di regola né avviato né continuato alcun trattamento sanitario”. (BGHSt 40, 257, 262).

23. Nella sua ordinanza del 17 marzo 2003 (XII ZB 2/03 = BGHZ 154, 205 = NJW 2003, 1588) che riguardava il caso di un paziente in stato vegetativo, la XII sezione civile del BGH aveva deciso che la cessazione di ogni intervento di sostegno e di prolungamento della vita per un paziente in stato di incoscienza avrebbe richiesto che tale cessazione corrispondesse effettivamente alla reale o presunta volontà del paziente e che la malattia avesse portato il paziente ad uno stadio terminale. La dottrina su tale argomento non è univoca, c’è anzi una divergenza tra la giurisdizione civile e quella penale del BGH sulla questione dell’ammissibilità della cosiddetta “eutanasia passiva” (cfr. Hoefling/Rixen JZ JZ 2003, 884, 885 ff.; Ingelfinger JZ 2006, 821; Otto NJW 2006, 2217, 2218 f.; Saliger MedR 2004, 237, 240 f.; Sternberg- Lieben in FS für Eser (2005) S. 1185, 1198 ff.; Verrel, Gutachten zum 66. DJT, 2006, C 43 ff.).Tale visione sussisteva anche dopo che la  XII sezione civile in un’ordinanza del 8 giugno 2005 (XII ZR 177/03  – BGHZ 163, 195 = NJW 2005, 2385) aveva deciso che l’amministrazione di una casa di cura non fosse autorizzata ad imporre l’alimentazione artificiale ad un paziente incosciente e in stato vegetativo contro la sua espressa e vincolante volontà e non fosse possibile invocare la decisione del giudice tutelare quando già il fiduciario e il medico avevano optato concordemente contro la continuazione dell’alimentazione artificiale. L’ingresso in una presunta fase terminale della malattia non era poi nemmeno presa in considerazione.

24. Il risultato è stata una situazione di incertezza nell’opinione pubblica circa le condizioni e la portata delle autorizzazioni riguardanti i trattamenti sanitari di mantenimento in vita sulla base della volontà del paziente ed è proprio per questo che, attraverso la Terza legge di modifica del diritto di tutela del 29 luglio 2009, (BGBl I 2286), e precisamente ai sensi del § 1901a comma III BGB, il legislatore ha previsto che la validità del consenso espresso dal paziente prescinda dal tipo e dallo stadio della malattia.

25. Tuttavia, come il Tribunale ha riconosciuto correttamente, la cessazione dell’alimentazione artificiale attraverso l’interruzione o, più precisamente, la riduzione dell’afflusso di liquido calorico, secondo i desideri della già coimputata sig.ra G. e di suo fratello, doveva ritenersi lecita alla luce dei principi del diritto vigente poiché presuppone le condizioni riconosciute per una legittima interruzione del trattamento per mezzo della c.d. “eutanasia passiva”. Si riscontrava qui – anche se nella prassi è forse difficilmente rilevabile (cfr. BGHSt 40, 257, 260 f.) – che l’interessata, concretamente, avrebbe espresso un chiaro desiderio in proposito prima dell’entrata nello stato di incapacità. Il fiduciario ed il medico curante concordavano che il distacco dall’alimentazione artificiale corrispondesse alla volontà del paziente. Dati questi presupposti l’alimentazione artificiale avrebbe potuto essere interrotta senza che fosse necessario ottenere un’autorizzazione giudiziale per il fiduciario.

26. Il tribunale è arrivato giustamente alla conclusione che l’annunciata ripresa dell’alimentazione da parte della casa di cura costituisse una lesione dell’integrità fisica e del diritto di autodeterminazione del paziente. Infatti, come sostiene la maggioranza degli orientamenti della dottrina, né la convenzione di cura [Heimvertrag], né la facoltà di obiezione di coscienza (art. 4 comma I GG) dell’amministrazione e del personale della struttura sanitaria conferiscono il diritto di ignorare l’autodeterminazione del paziente e di aggredire il diritto costituzionalmente tutelato all’integrità fisica. (vlg. BGHZ 163, 195, 200; Dirksen GesR 2004, 124, 128; Hofling JZ 2006, 145, 146; Hufen NJW 2001, 849, 853; ders. ZRP 2003, 248, 252; Ingelfinger JZ 2006, 821, 829; Lipp FamRZ 2004, 317, 324; Müller DNotZ 2005, 927, 928 e ss.; Sternberg-Lieben in FS fur Eser (2005) S. 1185, 1203; Uhlenbruck NJW 2003, 1710, 1711 e ss..; Verrel, Gutachten fino a p. 66. DJT, 2006, C 41 ff.; Wagenitz FamRZ 2005, 669, 670 e ss..; di segno opposto OLG Munchen NJW 2003, 1743, 1745; LG Traunstein NJW-RR 2003, 221, 224).

27. Non ha altresì giustamente ritenuto configurabile che le azioni dell’imputato e della già imputata sig.ra G, finalizzate ad impedire l’illecita ripresa dell’alimentazione artificiale, con conseguente violazione del diritto all’integrità fisica e di quello di autodeterminazione, fossero da ricomprendersi nella scriminante della legittima difesa [Notwehr], secondo il § 32 StGB. Così, come risulta da quanto precede, la fattispecie della legittima difesa, ai sensi del § 32 StGB, nella forma del soccorso d’urgenza del comma II del medesimo paragrafo, avrebbe potuto considerarsi legittima, se l’ “azione difensiva” si fosse orientata solo contro il comportamento dell’aggressore; nel caso di specie tuttavia essa si orienta soprattutto contro un altro e ben più importante diritto dell’aggredito stesso [cioè la vita], per cui non può ravvisarsi alcuna legittima difesa.

28. Il Tribunale ha giustamente preso in considerazione anche l’esistenza di una possibile scriminante dal punto di vista dello stato di necessità (ai sensi del § 34 StGB) [Rechtfertiger Notstand], ma nel caso di specie non è da ritenersi sussistente, seppure l’azione dell’imputato contro il bene giuridico primario (vita) si accompagna con la minaccia di un pericolo attuale (i beni giuridici dell’integrità fisica e del diritto all’autodeterminazione) ex § 34 StGB. (a.A. Otto, Gutachten fino a 56. DJT, 1986, D 44 ss.; Merkel ZStW Bd. 107 (1995) S. 454, 570 ss.; ders., Früeuthanasie (2000) S. 523 ss.; Neumann NK-StGB vor § 211 Rn. 127; H. Schneider in Müko-StGB vor §§ 211 ss. Rn. 111 ss.; Chr. Schneider, „Tun und Unterlassen beim Abbruch lebenserhaltender medizinischer Behandlung“ 1998 S. 242 ss.). Un altro assunto che tenga conto del § 35 StGB [entschuldigender Notstand, stato di necessità scusabile] o dal punto di vista di uno “straordinario” stato di necessità, fuori dalla previsione legislativa, è altrettanto infondato.

29. Una giustificazione dell’azione omicida poteva quindi derivare, nel caso di specie, solo dai figli della sig.ra K che, come tutori della stessa, potevano rappresentare validamente il volere dei soggetti interessati e dunque dare il consenso all’interruzione dell’alimentazione artificiale e rinunciare al suo proseguimento o alla sua ripresa.

30. A differenza dei precedenti casi esaminati dal BGH, il presente ha la particolarità che il sabotaggio dell’alimentazione artificiale, attività certamente diretta a provocare la morte, è stata classificata correttamente dal Tribunale come un’azione in senso proprio ai sensi del § 25 comma II StGB; ed è, anche secondo i princìpi generali, da considerarsi dunque non come omissione, ma come azione commissiva. In effetti, per tutti quegli interventi diretti a porre termine alla vita, non si ravvisa una giustificazione giuridica da parte della giurisprudenza che permetta loro di essere classificati sotto il punto di vista di eutanasia lecita (Sterbehilfe), almeno fino ad ora. La presente sezione penale vuole infatti rivisitare anche la relativa disciplina del diritto civile attraverso la prospettiva degli scenari ridelineati dalla Terza Legge di modifica del c.d. diritto all’amministrazione di sostegno (Dritte Gesetz zur Änderung desBetreuungsrechts) del 29 luglio 2009.

31 A) Il legislatore ha stabilito l’ambito del diritto all’amministrazione di sostegno [o fiduciaria ndr] che limita i trattamenti sulla base della volontà del paziente secondo la legge del 29 luglio 2009, la c.d. Legge sulle disposizioni del paziente (BGB I 2286). La legge, entrata in vigore l’1 settembre 2009 aveva innanzitutto come obiettivo quello di portare certezza giuridica nei rapporti [tra gli interessati] (v. Raccomandazione della commissione giuridica BT – Drucks. 16/13314 pp. 3 ss. e 7 ss.). I nuovi parametri giuridici di riferimento erano, da un lato, il diritto della persona, costituzionalmente garantito, all’autodeterminazione, quale quello al rifiuto di trattamenti sanitari e, nel caso, anche di misure di mantenimento in vita senza riguardo alla loro necessità, dall’altro, parimenti, la protezione della vita umana offerta dalla Costituzione che trova la sua espressione sotto le norme penali dei §§ 212, 216 StGB.

32. Per soppesare tali principi, il legislatore, intervenendo per la terza volta a modificare il diritto alla tutela, dopo ampie consultazioni ed interrogazioni e dopo aver acquisito innumerevoli consulenze e pareri di ogni genere, ha disposto che la volontà reale o presunta di un paziente capace realmente ed in concreto di intendere e di volere, indipendentemente dal tipo e dallo stadio della sua malattia, dovrebbe essere “obbligatoria” e vincolante sia per il fiduciario che per il medico curante (v. § 1901a comma III BGB; cfr. il disegno di Legge BT-Druck 16/8442 p. 11 e ss.; Diederichscen Palandt BGB 69. Ed.  1901a Rn 16 e 29 ss). La necessità del consenso per le decisioni in merito all’ammissione, al rifiuto o alla cessazione delle procedure mediche è limitata in concreto alle divergenze di opinioni tra medico e fiduciario (o procuratore speciale) sulla volontà del paziente incapace di esprimersi o sulle misure sanitarie da adottarsi (§ 1904 comma 2 e 4 BGB). Le disposizioni dei §§ 1901a e ss. BGB ricomprendono anche le procedure giuridiche per la determinazione della reale o presunta volontà del paziente sottoposto a tutela (cfr. ibid. Diederichsen aaO Rn. 4 ff. u. 21 ff.; Diehn/Rebhan NJW 2010, 326; Höfling NJW 2009, 2849, 2850 f.).

33. b) Questa modificazione normativa riguarda anche il diritto penale. Tuttavia le disposizioni dei §§ 212 e 216 StGB non vengono toccate dalle norme sull’amministrazione di sostegno, le quali, a cominciare già dalla loro denominazione, riguardano questioni che vanno ben oltre la configurazione del caso e anche secondo una precisa volontà del legislatore, non contengono specifiche prescrizioni penalistiche per la demarcazione tra eutanasia passiva ed omicidio (cfr. BT-Drucks. 16/8442 S. 7 f. u. 9). Quanto al resto, dal tenore del § 1901a BGB e dalle illimitate e diversificate fattispecie del caso concreto in merito all’amministrazione di sostegno, emerge che la questione di una scriminante penale dei comportamenti eventualmente riconducibili alla fattispecie dell’omicidio non può essere trattata solo come un accessorio problema civilistico. Dove finisce il limite di un legittimo consenso e dove inizia l’area dell’omicidio del consenziente, così come il problema dell’ampiezza giuridica di una violazione del corpo del consenziente (§228 StGB), è una questione specificamente penalistica che va analizzata sì alla luce dell’ordinamento costituzionale e con uno sguardo agli altri ambiti del diritto, ma nella fondamentale autonomia dei criteri penalistici sostanziali (in questo senso Verrel, Gutachten zum 66. DJT, (2006) C 34 ff. und 57 ff.; vgl. auch AE-Sterbebegleitung GA 2005, 533, 564; a.A. Lipp FamRZ 2004, 317; Neumann/Saliger HRRS 2006, 280, 284; offengelassen für das frühere Betreuungsrecht von Bernsmann ZRP 1996, 87, 90). Secondo l’intenzione del legislatore questo limite non dovrebbe essere violato dalla normativa dei §§ 1901a e ss BGB (VT- Drucks. 16/8442 S. 9). I §§ 1901a e ss. BGB comprendono anche una garanzia procedurale per l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei pazienti che non sono più in condizioni di esprimersi. Questa dovrebbe assicurare che la loro volontà, nel momento dell’entrata nello stato di incapacità di intendere e di volere, fosse valida e quindi rispettata. Questa nuova regolamentazione che ha come obiettivo quello di portare espressamente una maggior certezza interpretativa per gli orientamenti giurisdizionali riguardo a tutti i soggetti coinvolti, deve essere presa in considerazione nella prospettiva unitaria dell’ordinamento (cfr. Reus JZ 2010 pp. 80, 83 ss.) e nella determinazione dei confini di una possibile giustificazione di comportamenti causalmente orientati alla cessazione della vita .

34. Il Tribunale ha negato fondamento alle ragioni dell’imputato che si era giustificato adducendo il consenso del paziente, in quanto non ha ritenuto che le condizioni dell’azione (in particolare il modo in cui è stata interrotta l’alimentazione artificiale) potessero ricomprendersi in un caso di c.d. eutanasia passiva. Esso ha infatti ravvisato nel taglio dei tubi della sonda PEG un comportamento attivo e perciò ha negato l’efficacia scriminante che avrebbe avuto la volontà del paziente.

35 a) Questa prospettiva corrisponde alla attuale posizione prevalente della giurisprudenza e della dottrina, in base alla quale bisogna distinguere, entro limiti ben precisi, tra eutanasia “passiva” o “indiretta” ed eutanasia “attiva” (cfr. per la parte generale Eser in Schönke/Schröder StGB 27. Aufl. Vorbem. §§ 211 ff. Rn. 21 ff.; Fischer StGB 57. Aufl. vor §§ 211-216 Rn. 16 ss.; Otto NJW 2006, 2214 ss.; Roxin in Roxin/Schroth Handbuch des Medizinstrafrechts 4. Aufl. S. 83 ff.; Chr. Schneider, Tun und Unterlassen beim Abbruch lebenserhaltender medizinischer Behandlung, 1998 pp.33 ss.; H.Schneider in Müko-StGBvor §§211 ss. Rn.88 ss.; Schöcke in Fs für Hirsch (1999) pp. 693 ss.; Schreiber NStZ 2006, 473, 474 ss.; Schroth GA 2006, 549 ss.; Ulsenheimer, Arztstrafrecht in der Praxis 4. Ed. (2008) p. 336, Rn. 275 ss., alle mwN; si veda anche Sterbehilfe und Sterbebegleitung, Bericht der Bioethik-Kommission Rheinland-Pfalz v. 23.April 2004 S. 64 ss.). La semplice cessazione dell’alimentazione artificiale, poichè incide solo su fatti esteriori, è considerata non un fare attivo, ma un’omissione e perciò un comportamento “passivo” (BGHSt 40, 257, 265 s.; vgl. dazu auch Coeppicus FPR 2007, 63; Eser aaO Rn. 27 ss.; Fischer aaO Rn. 19 ss.; Rn. 92 u. 104 ss.; Helgerth JR 1995, 338, 339; Kutzer NStZ 1994, 110, 113 ss.; ders. FPR 2007, 59, 62; Merkel ZStW Bd. 107 (1995), 545, 554; H. Schneider aaO; Schöch NStZ 1995, 153, 154; Schroth GA 2006, 549, 550 ss.; Verrel, Gutachten zum 66. DJT, 2006, C 13 ss. e C 56 s.; Vogel MDR 1995, 337, 338 ss.; Weigend in LK 12.ma Ed. § 13 Rn. 8; jew. mwN; Grundlegend dazu schon Geilen, “Euthanasie” und Selbstbestimmung, 1975, S. 22 ss.). Una eutanasia passiva considerata come lecita, presupporrebbe questa differenziazione e pertanto, come ritiene l’opinione prevalente dei giuristi, richiederebbe sempre una omissione in senso giuridico (§ 13 StGB) . Quindi, un’azione nel senso naturalistico del termine, dovrebbe essere punibile sempre come delitto di omicidio ex §§ 212 216 StGB (v. JR Helgerth 1995, 338, 339).

36 b) Dunque, al di là delle forme di azione ed omissione, [fino ad ora] non sono stati trovati dalla Sezione penale altri criteri di orientamento per giudicare la liceità o l’illiceità della morte provocata con il consenso, o almeno la presunzione del consenso, del paziente interessato.

37 aa) Anche la giurisprudenza del BGH si era interrogata in passato se una illecita omissione [pflichwidriges Unterlassen] potesse configurare gli estremi della fattispecie di cui al § 216 St.GB [omicidio del consenziente] (BGHSt  13, 162, 166, 32, 367, 371). Questo dimostra che i criteri per la distinzione tra comportamento lecito o illecito non possono essere trovati solo nella natura esterna dell’azione. Anche se la legge distingue tra l’illecita omissione di un’azione ed il semplice fare “attivo”, il § 13 comma II StGB riguarda solo quei casi in cui il comportamento è riuscito a raggiungere il suo scopo (cfr. Kargl GA 1999, 459 ss.; Ulsenheimer aaO S. 336). Questa generale differenziazione lascerebbe però allo stesso tempo aperta la possibilità di contemperare il valore delle azioni e delle omissione e quindi di valutarle nello stesso modo quando lo richiedono le circostanze.

38 bb) Il confine tra una eutanasia lecita e un vero e proprio omicidio i sensi dei §§ 212, 216 StGB non può essere pienamente compreso se visto all’interno della dicotomia naturalistica tra comportamento passivo ed attivo. Attraverso l’’interpretazione della realtà vissuta in una contraddittoria valutazione normativa, è stato sostenuto in passato che anche un comportamento de facto attivo, quale spegnere un respiratore, si trasformerebbe in una “mera omissione” da un punto di vista normativo (con il risultato di legittimare giuridicamente questo comportamento in quanto eutanasia passiva). Questa interpretazione è stata giustamente biasimata dalla dottrina ed è stata bollata come inaccettabile artificio dogmatico (cfr. Fischer StGB 57. Aufl. vor §§ 211-216 Rn. 20; Gropp in GS für Schlüchter (2002) pp. 173, 184; Hirsch in FS für Lackner (1987) pp. 597, 605; Kargl GA 1999, 459, 478 ss).

39 Una tale interpretazione trasformatrice di un’azione concreta in un’omissione giuridica non calcola i problemi che potrebbero derivare. Un’interruzione del trattamento infatti, secondo il suo proprio significato naturalistico e sociale, non si esaurisce in una “inazione”, ma può di regola includere una varietà innumerevole di comportamenti attivi e passivi il cui inquadramento secondo i criteri [finora] sviluppati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in merito al § 13 StGB [reato omissivo improprio], è problematico e dipende parzialmente dal caso concreto. E’ quindi ragionevole e necessario che tutti gli atti connessi con tale conclusione di qualsivoglia terapia medica, siano da riassumere in un unitario concetto normo-valutativo di questa “interruzione” e che tale concetto comprenda, accanto agli elementi prettamente oggettivi dell’azione, anche l’intenzione soggettiva [Zielsetzung] dell’agente; è altresì ragionevole e necessario concludere una terapia medica già iniziata, secondo il volere del paziente o ridurre la sua invasività adeguandola al volere del paziente o del tutore in conformità con i rispettivi bisogni di assistenza e trattamento ( sul concetto di “concreta interruzione di trattamento” cfr. già Jähnke in LK-StGB 11. Aufl. vor § 211 Rn. 18; nello stesso senso Roxin in Roxin/Schroth Handbuch des Medizinstrafrechts 4. Aufl. S. 94 e seg.; vgl. §214 AE-Sterbehilfe 1986 e §214 AE-Sterbebegleitung GA 2005, 552, 560 e seg. sowie Nr. II u. III der Grundsätze der BÄK zur ärztlichen Sterbebegleitung, Fassung 2004). Infatti, se un paziente può rifiutare un trattamento, questo deve allo stesso modo valere per la cessazione di un trattamento non più voluto, messa in pratica attraverso l’interruzione di un’ulteriore misura sanitaria o attraverso un fare attivo, come lo scollegamento da un respiratore o la rimozione di una sonda di alimentazione; lo stesso vale per la ripresa di un trattamento che non corrisponde più al volere del paziente e che perciò deve essergli risparmiato (si veda Eser  in Schönke/Schröder/Eser StGB 27Aufl. § 211 Rn. 31 s.; Roxin NStZ 1987, 345, 350; LG Ravensburg NStZ 1987, 229).

40 cc) Una differenziazione tra azioni attive e passive secondo criteri “esterni” non è adatta ad accertare, in modo adeguato e tale da valorizzare l’equità necessaria per ogni singolo caso, i confini all’interno dei quali è da riconoscersi una legittimazione di quei comportamenti con cui vengono rifiutate o interrotte le terapie secondo i voleri del paziente; devono quindi essere presi in considerazione anche altri criteri sulla base dei quali può essere effettuata tale differenziazione. Tali criteri emergono dal concetto di “eutanasia” [Sterbehilfe] e “interruzione della trattamento” [Behandlungsabbruch] e dalla contemperazione dei beni giuridici che vengono in gioco nello sfondo dell’ordine costituzionale.

41. Il concetto di eutanasia attraverso l’omissione della terapia, la sua riduzione o la sua interruzione presuppongono che la persona interessata abbia una malattia che metta in pericolo la propria vita e che i trattamenti medici applicati per conservare o allungare la vita del paziente siano appropriati. Solo in questa stretta relazione ed in questo preciso contesto il concetto di “eutanasia passiva” [Sterbehilfe] trova il suo sistematico e legittimo significato. Al contrario, atti deliberatamente diretti alla soppressione della vita che sono effettuati al di fuori di un tale rapporto con una terapia medica della malattia, non sono fin dall’inizio giuridicamente giustificabili attraverso il semplice consenso; tale visione si evince facilmente dai §§ 216 e 218 StGB e tali disposizioni fanno parte dei principi del nostro ordine costituzionale.

42. Infatti, oltre al consenso dell’interessato, un legittimo atto eutanasico presuppone che esso corrisponda oggettivamente e soggettivamente ad un trattamento medico nel senso sopra indicato: esso comprende solo il rifiuto di un trattamento vitale o la sua interruzione nonché azioni che corrispondono alla c.d. “eutanasia passiva”, che seguono all’accettazione di una possibile morte prematura a seguito dell’assunzione dei trattamenti medici palliativi consigliati.

43. Dall’art. 1 sezione I, comma II GG si evince il diritto all’autodeterminazione del soggetto alla difesa della propria persona contro aggressioni alla propria integrità fisica e il diritto a godere del corso indisturbato della propria vita e della propria morte; non è concesso per questo alcun diritto o alcuna pretesa di un terzo di provocare la morte senza questo stretto rapporto con il trattamento sanitario. La giustificazione del consenso viene in considerazione se l’azione si limita a (ri)produrre lo stato a cui porterebbe il corso della malattia se seguisse il suo corso, e se, pur alleviando la sofferenza, la malattia non possa (più) essere curata e porti il paziente alla morte. Al contrario non è ammesso il caso di un intervento intenzionale a sganciare la cessazione della vita dal processo patologico (cfr in merito a tale distinzione Höfling JuS 2000, 111, 113; Verrel, Gutachten zum 66. DJT, 2006, C 64).

44. Tale distinzione, che segue il concetto di interruzione del trattamento ed è basata su criteri immanenti al trattamento e all’attuazione del volere del paziente riguardo alle terapie, è più adatta a far valere l’importanza dei valori giuridici in gioco e ad offrire a tutti i soggetti un chiaro orientamento giuridico rispetto all’attuale differenziazione tra comportamenti attivi e passivi, che risulta dogmatica, dubbiosa e, nella prassi, poco praticabile.

45. I limiti del § 216 StGB rimangono invariati. Ciò corrisponde anche alla ratio della terza modifica alla legge sull’amministrazione di sostegno, secondo cui le azioni che tengono conto della rinuncia ad un trattamento medico o il divieto della sua continuazione da parte del paziente, sono da tenersi distinte dalla fattispecie di omicidio del consenziente di cui al § 216 StGB (Cfr. BT- Drucks. 16/8442 S. 3, 7 ss).

46. Per l’accertamento del reale volere del paziente in merito al trattamento valgono quei rigorosi metodi di prova che tengono conto dell’alto valore dei beni giuridici interessati (cfr. la già ricordata BGHSt 40, 257, 260 e ss.). Ciò deve valere soprattutto se, mancando una precisa disposizione scritta del paziente, è necessario risalire ad una sua volontà manifestata verbalmente nel passato. Le regole di procedura ai sensi dei §§ 1901a e ss. BGB; in particolare l’interazione assolutamente necessaria tra tutore o procuratore e medico oltre, se del caso, il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria, assicurano l’osservanza e il rispetto di questo standard.

47. L’impiego dei principi esposti precedentemente non è limitato alle azioni del medico curante così come del fiduciario o del procuratore, ma può riguardare anche gli atti di terzi, di tutti quelli coinvolti nel trattamento. Ciò deriva dal fatto che un’interruzione del trattamento di regola non si sostanzia in un’unica azione od omissione, ma richiede, eventualmente, anche un pacchetto di terapie mediche per lo più palliative che non devono essere effettuate necessariamente dal medico curante.

48. Se attraverso l’interpretazione del § 216 StGB precedentemente esposta e attraverso quelle norme sostanziali circa la funzione legittimante del consenso, pur restando nei limiti dell’eutanasia passiva, la presente Sezione si scosta da precedenti pronunce di altre sezioni del BGH, ciò è possibile grazie all’entrata in vigore del nuovo testo del §1901a e ss. BGB; una richiesta di riesamina ai sensi del 132 comma II GVG non era perciò necessaria (cfr. BGHSt 44, 121 124, BGH NStZ 2002 pp. 160 ss.). Per la situazione giuridica anteriore al 1 settembre 2009 la condotta dell’imputato non sarebbe stata ritenuta lecita, mentre  adesso bisogna tenere conto delle modificazioni legislative ai sensi dei § 2 comma III StGB [efficacia della legge nel tempo] e 354a StPO [validità delle nuove disposizioni normative in appello].

49. L’imputato in quanto interpellato dalla amministratrice di sostegno della sig.ra K ed in quanto suo avvocato, ha agito altrettanto legittimamente dell’amministratrice stessa, per cui è assolto dalla presente sezione ai sensi del § 354 comma I StPO.

50 L’appello della pubblica Accusa:

51. La misura penale richiesta dalla Procura è, per quanto detto, infondata ed è quindi da rigettare.

Il collegio

Il Presidente del Bundesgerichtshof

Prof. Dr. Rissing-van Saan

I Giudici

Prof. Dr. Fischer

Dr. Appl

Dr. Roggenbuck

Prof. Dr. Schmitt

Traduzione a cura di Andrea Gatti

 

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